28 Mar Gioco e gioco d’azzardo patologico (GAP)
Quando il gioco si trasforma da un naturale processo evolutivo dell’essere vivente ad una vera e propria patologia?
Il gioco: due facce della stessa medaglia
È facile pensare a quante volte si faccia riferimento al gioco nella vita quotidiana: si può entrare in gioco per risolvere una situazione e sperare di avere buon gioco perché tutto vada per il meglio; si può anche scegliere di stare al gioco di qualcun altro, ma a patto che si eviti di fare il gioco sporco. Quel che conta, in fondo, è non farsi ingannare dai giochi di parole e stare attenti a non giocarsi il tutto per tutto quando la perdita è quasi certa. Quante volte, poi, è fondamentale sapersi mettere in gioco?
Un gioco da ragazzi
“Il gioco è il cibo dello spirito”
sosteneva lo psicanalista Donald Woods Winnicott, perché attraverso l’attività ludica il bambino acquista la propria autonomia dalla figura materna, cresce ed impara a vivere in società. Affrontare il distacco dalla madre non è semplice: il piccolo stringe forte a sé quell’oggetto che gli ricorda la mamma, il suo profumo e il suo calore, e non può proprio separarsene perché in esso ne cerca il sostituto. Viene in mente Linus, il simpatico protagonista del fumetto Peanuts, sempre a spasso con la sua copertina tra le mani.
Così il bambino trova nel gioco lo spazio ideale per sperimentare il mondo al di fuori della relazione con la figura materna, entra in sintonia con gli altri ed impara ad essere empatico nei confronti dei suoi compagni di divertimento. È un’esperienza altamente gratificante, libera, conscia di non essere presa sul serio, senza interessi materiali, ma non per questo meno intensa. Privarlo della possibilità di giocare significa compromettere una sana separazione dalla madre, con il forte rischio di incorrere nello sviluppo di patologie e comportamenti asociali in età adulta.
Giocare è necessario
Giocare, dunque, è una vera e propria necessità per l’uomo; basti pensare che sin dall’alba dei tempi l’evoluzione ha premiato i comportamenti favorevoli alla sopravvivenza delle specie, mentre ha lasciato che quelli svantaggiosi si estinguessero nel corso dei secoli. Così noi oggi non abbiamo più una coda ma camminiamo su due zampe, abbiamo il pollice opponibile e, soprattutto, giochiamo.
Non siamo però i soli a beneficiare del piacere del gioco: se due cuccioli di ratto, ad esempio, si trovano insieme in un ambiente privo di minacce, non tardano a giocherellare tra loro, emettendo perfino suoni molto simili al riso.
Perché, quindi, i comportamenti ludici sono sopravvissuti ai ciechi meccanismi della selezione naturale?
Studi condotti sul cervello umano dimostrano che un terzo dei circa 1200 geni che regolano le aree cerebrali responsabili della condotta sociale sono influenzati dal gioco e favoriscono lo sviluppo di comportamenti adatti alla vita dell’individuo in società. Non solo, il gioco sociale stimola la maturazione dei neuroni anche nelle sedi delle funzioni emotive, di linguaggio e di memoria.
Giocare col fuoco
La scienza può oggi confermare un’intuizione che apparteneva già alle dissertazioni filosofiche di Platone: senza gioco un bambino non potrà mai diventare un adulto completo.
Eppure esiste un’altra faccia della medaglia, quella del gioco d’azzardo, in una società in cui, con le parole di Vittorio Gassman:
“c’è sofferenza di vivere, c’è travaglio del percorso di maturazione, c’è il sentire la colpa del vivere, il terrore di invecchiare, c’è l’irreparabilità della morte”
Il gioco d’azzardo
Secondo il già citato Winnicott e la psicoanalista Melanie Klein, dove il gioco infantile favorisce uno sviluppo corretto, il gioco patologico regredisce alla fase della separazione iniziale del bambino dalla madre e si spoglia della possibilità di scegliere quando porre fine al divertimento per tornare alla realtà.
Per il bambino l’allontanamento dalla quotidianità, quel cerchio magico in cui il piccolo vive l’esperienza di gioco e alimenta la propria cultura, è solo provvisorio. Come si suol dire: il gioco è bello finché dura poco.
Quando invece la ripetitività e la rapidità dei meccanismi del gioco d’azzardo hanno la meglio, riprendere il contatto con la realtà diventa quasi impossibile.
Il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) contrappone così alla vitalità del sano divertimento l’aridità di una vita priva di cultura e povera di relazioni sociali.