Oltre le sostanze: nuove dipendenze, mondo digitale e l’importanza dell’ascolto

Oltre le sostanze: nuove dipendenze, mondo digitale e l’importanza dell’ascolto

 

Da diversi anni educatori e psicologi delle nostra comunità sono coinvolti in incontri di educazione sanitaria nelle scuole superiori del territorio, con un focus dedicato al tema delle dipendenze. Valentina, Zalea e Stefano ci raccontano la loro esperienza.

 

L’allarme dipendenze in Italia

 

L’annuale relazione sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, presentata lo scorso giugno in Parlamento, ha portato alla luce dati allarmanti per quanto riguarda la diffusione e il consumo di sostanze, tendenza in aumento, specialmente tra i giovani.

Dal documento emerge che quasi 960mila studenti tra i 15 e i 19 anni (il 39% del totale) hanno consumato almeno una volta una sostanza illegale, e oltre 680mila (il 28%) ne hanno fatto uso nell’ultimo anno. Preoccupano in particolare la diffusione e il consumo di nuove sostanze psicoattive (NSP) che rappresentano una delle sfide più dinamiche e critiche nel campo delle dipendenze, con una crescente variabilità che rende difficile il loro rilevamento e controllo. Solo nel corso dell’ultimo anno il Sistema Nazionale di allerta precoce del Dipartimento per le politiche antidroga ha identificato sul territorio 70 NSP. Il consumo di queste ultime, in crescita dopo la pandemia, interessa prevalentemente i giovani, più esposti a questo particolare mercato. Nel 2023, riferiscono di averne consumata almeno una nel corso dell’anno 160mila 15-19enni, pari al 6,4% della popolazione studentesca.

 

 

La prevenzione nelle scuole

 

A fronte dell’allerta tra gli operatori del settore, lo scorso anno sono aumentati i progetti di prevenzione, informazione, comunicazione e sensibilizzazione che vede coinvolti operatori pubblici e privati, associazioni e enti del terzo settore. La Relazione segnala che sul territorio nazionale sono stati realizzati 289 progetti nelle secondarie di I e II grado, mirati all’incremento di conoscenze e  competenze sociali per prevenire l’uso di droghe.

Il 49% delle scuole ha organizzato attività di prevenzione delle sostanze, dato in crescita rispetto al 2022, mentre l’81% iniziative contro il bullismo e il cyberbullismo (che, nel 2023, ha visto vittime il 45% degli studenti). Quasi la metà degli studenti ha partecipato a programmi di prevenzione, mostrando maggiore consapevolezza sui rischi e minor propensione all’uso di sostanze.

 

Le testimonianze degli operatori

 

Anche la Gasparina di Sopra è impegnata, da diversi anni, in interventi di educazione alla salute nelle scuole relativi alle dipendenze e nuove dipendenze. Abbiamo chiesto ad alcuni degli operatori coinvolti di raccontarci della loro esperienza: Valentina e Zalea sono psicologhe presso la Comunità Terapeutica maschile di Romano di Lombardia, Stefano è educatore e responsabile della Comunità maschile di Reinserimento, sempre a Romano.

Zalea: «Le ragazze e i ragazzi che abbiamo incontrato hanno, per la maggior parte, interagito con interesse al dialogo stimolato dalle informazioni condivise. Generalmente il clima è stato partecipativo e sereno. Questo ha permesso a molti una prima messa in discussione di pensieri e credenze relativi al mondo delle dipendenze».

 

I giovani, tra curiosità e consapevolezza crescente

 

Valentina, segui questa esperienza da diverso tempo: come è cambiato nel corso degli anni l’interesse al tema da parte dei ragazzi? «Ogni anno ritroviamo sempre molta curiosità rispetto ai meccanismi sottesi a tutte le forme di dipendenza: componente neurobiologica, motivazioni relazionali ed emotive, fattori di rischio e di protezione. Quest’anno, rispetto agli anni precedenti, abbiamo riscontrato delle differenze non tanto nell’interesse verso l’argomento che, come detto, ha sollecitato in tutte le classi incontrate curiosità e disposizione al dialogo e alla riflessione, quanto nella maggiore consapevolezza della pericolosità di incorrere in una dipendenza in giovane età e quindi meno superficialità nel considerarne i rischi».

Zalea: «In merito ai comportamenti connessi all’assunzione di una sostanza, l’interesse maggiore è andato alla dipendenza da alcol e tabacco, entrambe ad alto rischio se pensiamo alla loro accessibilità, sia in termini di diffusione, sia in termini di costo.

Valentina: «Se aggiungiamo la vendita ai minori, nonostante il divieto legale, può risultare più comprensibile un concetto di “normalizzazione” intorno a queste sostanze. Per quanto riguarda l’alcool, negli anni è spesso emerso un utilizzo preoccupante della sostanza associato a un’inconsapevolezza sui rischi a livello organico e psichico correlati alla sua assunzione nel tempo. Emergeva una tendenza al consumo prevalente nei week-end, con la motivazione espressa di dover/voler “staccare mentalmente”, per la sensazione di euforia, di sentirsi “fuori” dagli schemi o da una normalità ritenuta noiosa, o per la sensazione di sentirsi più socievoli e disinibiti nell’interazione con i pari. Tuttavia quest’anno i ragazzi ci sono sembrati più consapevoli anche rispetto alla pericolosità dell’alcool. Il dialogo si è molto focalizzato sulla legalità di alcune sostanze e su come questa non sia correlata alla loro minore pericolosità, attivando anche, a questo proposito, la discussione in merito alla legalizzazione o meno della cannabis».

L’ultima relazione annuale ha acceso i riflettori sulla diffusione preoccupante di NSP, qual è l’approccio degli studenti a questo tema? Valentina: «In linea con gli anni precedenti le altre sostanze psicoattive non hanno suscitato particolare interesse: dai racconti emersi è sembrato che le ragazze e i ragazzi incontrati si percepissero molto distanti dal rischio di consumare alcune tipologie di sostanze. Sicuramente va fatta una riflessione in merito ai contesti di appartenenza. Le classi che incontriamo fanno parte solo di alcuni indirizzi scolastici e non sono espressione dell’intero panorama studentesco. La scelta di uno specifico percorso di studi, oltre a portare con sé un immaginario a cui si sceglie di appartenere in termini di desideri e aspettative, può rappresentare un fattore di rischio o protezione da considerare anche rispetto ai comportamenti di dipendenza».

 

 

Le dipendenze comportamentali e il ruolo dei dispositivi digitali

 

Siamo abituati ad associare la parola “dipendenza” all’assunzione di sostanze, tuttavia oggi la dipendenza ha origini diversificate, non riguarda più solo l’assunzione di sostanze ma coinvolge una dimensione comportamentale, come nel caso del gioco d’azzardo e dell’utilizzo di dispositivi digitali. Zalea: «C’è grande interesse da parte delle ragazze e dei ragazzi verso questo tipo di dipendenza, anche perché più vicina alla loro esperienza diretta o indiretta. Per quanto riguarda il gioco d’azzardo, dal confronto avuto, sembra prevalere una maggiore diffusione del comportamento tra i maschi; a loro dire, tuttavia, questo mantiene una dimensione socializzante. Poche sono state le esperienze di chi ha percepito rischiose le proprie abitudini di gioco».

Valentina: «L’utilizzo di device ha attivato molto tutte le classi, ma anche su questo tema, rispetto agli anni precedenti, sono emersi un maggior livello di consapevolezza e la presenza di un pensiero critico sui rischi connessi a questo comportamento. Le ragazze e i ragazzi incontrati utilizzano i dispositivi elettronici per diverse ore al giorno, ma questo utilizzo appare variegato: ascolto di musica, visione di serie tv o film, utilizzo di social network, ricerca di contenuti informativi, comunicazione con amici. Abbiamo incontrato giovani impegnati fuori casa, in varie attività sane, che hanno raccontato come questo tempo sia importante e libero dall’utilizzo di dispositivi elettronici. La socialità che richiede presenza, soprattutto concentrata nel weekend, è stata portata come parte importante che non ha bisogno di device per rimanere attiva e vitale».

Anche su questo fronte la pandemia ha giocato un ruolo, i dispositivi rappresentavano lo strumento di comunicazione tra i ragazzi e la scuola. Valentina: «Sì, negli anni precedenti i ragazzi sono apparsi meno consapevoli dei rischi connessi a un eccessivo tempo di esposizione a questi strumenti, ma avevano comunque ben descritto la sensazione di vuoto percepita in seguito all’interruzione dell’esposizione. Un aspetto interessante, che abbiamo rilevato in modo abbastanza trasversale, è il fatto che i ragazzi abbiano lamentato un uso eccessivo di device da parte degli adulti che li circondano; questo dovrebbe farci riflettere su quanto i giovani ci guardino e apprendano da noi alcuni atteggiamenti disfunzionali».

 

 

«Una richiesta di “vita” non di “parole”»

 

Stefano, da tanti anni lavori nelle comunità e nell’ambito del trattamento e della cura delle dipendenze, come ti sei preparato a questi incontri, cosa avevi in mente di portare ai ragazzi che avresti incontrato? «Di primo acchito si potrebbe pensare che il compito fosse facile, facile da preparare – dati, contenuti, slide, grafici, video, molto materiale raccolto nel tempo… E invece, come poi spesso accade, ti rendi conto che ogni volta le persone sono diverse, le esperienze sono diverse, i contesti sono diversi. Il mio racconto degli incontri in realtà dovrebbe essere la storia di tanti incontri. Non volevo che fossero lezioni, ognuno dei ragazzi con cui sono entrato in relazione ha preso e dato quello che desiderava, liberamente ed in modo autentico».

Cosa ti porti a casa? «Ho incontrato ragazzi autentici, senza grosse zone d’ombra, capaci di riflettere ed argomentare. Capaci di cogliere la fragilità di altri, compagni o familiari, con delle competenze da affinare ma presenti. Hanno chiesto informazioni, ma soprattutto hanno voluto approfondire la mia esperienza in comunità, sia personale che professionale, e le esperienze di “chi ci è passato”. Una richiesta di “vita” non di “parole”. Ho incontrato curiosità ed empatia. Mai superficialità. Mai giudizi morali. Segno che al loro benessere, ed in generale alla loro salute ci tengono. Unica nota stonata la sensazione che il mondo adulto, in particolare noi genitori, appaia distante e poco capace di offrire momenti di ascolto, o anche semplicemente di silenzio. Ecco quello che mi porto a casa».