30 Set Settembre, mese della demenza senile: non spegniamo i riflettori!
La malattia di Alzheimer colpisce nel mondo circa 40 milioni di persone, solo in Italia registriamo circa un milione di casi. La patologia colpisce 1 anziano su 4 oltre gli 80 anni, numeri destinati a crescere per via del progressivo aumento dell’aspettativa di vita: nei Paesi in via di sviluppo si stima un raddoppio dei casi ogni 20 anni. Stando ai dati del 2020 dall’inizio della quarantena, il 60% dei pazienti ha subito un peggioramento dei disturbi comportamentali preesistenti o la comparsa di nuovi sintomi neuropsichiatrici.
A Bergamo i dati ATS dicono che la malattia interessa più del 5% della popolazione over 65, il 20% degli over 85, in totale circa 9 mila persone e famiglie. Un fenomeno che ci riguarda tutti, perché la persona con demenza non riguarda solo i suoi familiari e il sistema di assistenza, ma l’intera comunità, chiamata a esercitare in modo corale un costante ruolo di supporto alla famiglia. In questo senso è necessario mettere in campo percorsi di formazione in grado di costruire competenze e linguaggi che possano accompagnare il contesto sociale verso questo ruolo di responsabilità.
Dal 2012 il mese di settembre è stato dedicato alla sensibilizzazione sulla demenza senile e alla lotta allo stigma che la circonda. Questa attenzione testimonia la crescita di un movimento che mira a creare una maggior consapevolezza rispetto alla malattia e alle conseguenze che essa genera. Le iniziative dedicate al tema culminano nel 21 di settembre, giornata mondiale dell’Alzheimer, la più frequente tra le forme di demenza esistenti.
Alla conclusione di questo periodo dedicato l’auspicio è però quello di non spegnere i riflettori su un tema e su situazioni che nelle famiglie e nelle case vivono 365 giorni all’anno. Il lavoro e la presenza dei nostri operatori dei servizi domiciliari serve anche a questo: ad esserci, ad ascoltare, ad accompagnare ogni giorno. Con questo articolo vogliamo provare ad approfondire il tema della demenza e a fornire qualche elemento di orientamento tra gli strumenti e i servizi a disposizione sul territorio per affrontare al meglio un fenomeno sempre più comune. Grazie alle operatrici e ai collaboratori del Servizio di Assistenza Domiciliare che abbiamo coinvolto nella stesura del pezzo!
Demenza, Alzheimer, disturbi del comportamento: facciamo un po’ di chiarezza
Quando parliamo di demenza facciamo riferimento a più di 100 diverse tipologie. Esse vengono solitamente distinte in base al processo patologico (demenze degenerative primarie, vascolari o reversibili) e secondo l’età d’esordio della malattia (presenili se sviluppate prima dei 65 anni, o senili se successive). Appartiene al gruppo delle degenerative primarie anche la malattia di Alzheimer.
A fronte di una classificazione molto articolata non esiste però una causa univoca all’origine della demenza. Essa è probabilmente di tipo multifattoriale, ovvero dovuta a un mix di fattori genetici, ambientali e legati allo stile di vita. D’altro canto è possibile individuare dei tratti comuni alle diverse sindromi, in particolare il carattere degenerativo della patologia, ovvero da una progressiva compromissione delle funzioni cognitive e dall’accentuarsi di alcuni disturbi comportamentali.
Come riconoscere i primi sintomi e perché è importante intervenire tempestivamente
Proprio per via del suo carattere degenerativo significa che è di fondamentale importanza riuscire a riconoscere tempestivamente i primi campanelli d’allarme che annunciano l’affacciarsi della malattia. Nel 2005 l’American Alzheimer Association ha pubblicato l’elenco dei 10 sintomi premonitori della patologia:
- Perdita di memoria
- Difficoltà nelle attività quotidiane
- Problemi con il linguaggio
- Disorientamento spazio temporale
- Diminuzione della capacità di giudizio
- Problemi con i concetti astratti
- La cosa giusta al posto sbagliato
- Cambiamenti nell’umore e nel comportamento
- Cambiamenti di personalità
- Mancanza di iniziativa
Quando sono visibili almeno quattro di questi elementi è bene confrontarsi con il proprio medico di base per valutare eventuali accertamenti.
I primi segnali a comparire sono, in genere, disturbi della memoria (dimenticare gli appuntamenti, ripetere le stesse cose, non riuscire a far funzionare un nuovo elettrodomestico), sintomi che spesso vengono interpretati da parenti e amici come normali espressioni della vecchiaia che avanza. La comparsa di difficoltà nel linguaggio indica solitamente un procedere della patologia verso una fase già intermedia. A questi disturbi si associano spesso modificazioni del carattere (maggiore irritabilità), manifestazioni depressive, fino a disturbi psichici come deliri e allucinazioni. La fase avanzata della malattia è caratterizzata dalla totale perdita di autonomie del paziente, il quale necessita di assistenza anche per le funzioni basilari, come alimentarsi, curare la propria igiene o vestirsi.
La progressiva compromissione delle autonomie porta a stabilire come obiettivo fondamentale nel percorso di cura il sostanziale rallentamento della progressione della malattia, stimolando le abilità ancora integre, piuttosto che nel ripristino delle funzioni lese.
Le terapie non farmacologiche: cosa sono, strumenti e benefici
Abbiamo già evidenziato che la demenza non è solo malattia dell’individuo ma anche malattia della collettività. La famiglia, il personale assistenziale nelle strutture, i servizi del territorio sono parti in causa nella gestione della patologia e si trovano a fronteggiare un problema complesso di cura, di relazione, di adattamento psicologico e comportamentale.
Questa complessità ha contributo alla diffusione, negli ultimi anni, di modelli di intervento sulla malattia alternativi alle classiche terapie farmacologiche. Il modello di gentle care, formulato dalla terapista Moyra Jones, affianca l’approccio centrato sulla persona elaborato dallo psicologo inglese Tom Kitwood. Esso include nell’equazione dei fattori che portano alla demenza valutazioni su salute psicofisica, biografia, personalità, psicologia sociale – quell’insieme di comportamenti sociali attorno all’individuo che possono essere benefici e valorizzanti oppure maligni.
In questa cornice alcuni atteggiamenti possono rivelarsi efficaci strumenti preventivi se attivati tempestivamente, all’apparire dei primi segnali che preludono al disturbo comportamentale. Un ruolo chiave è quello che svolgono le persone vicine al soggetto colpito da demenza, i familiari e i caregiver in particolare. Accompagnare, esserci, ascoltare; il contatto e la voce: rappresentano tutti strumenti e opportunità di cura nella quotidianità. Ovvero riducono la comparsa di disturbi comportamentali, stimolano processi attentivi, facilitano processi emozionali, stimolano dialogo e capacità relazionali, favoriscono il rilassamento e stimolano la memoria.
Il ruolo dei caregiver
Da questo punto di vista il caregiver è esso stesso il primo strumento terapeutico nella cura della demenza. Tuttavia, il carico di emozioni, incertezze, paure che la malattia può suscitare fa sì che proprio i caregiver affrontino molte difficoltà. Spesso essi sperimentano una profonda dipendenza dalla persona con demenza, ma le difficoltà di comunicazione con l’assistito e la mancanza di feedback possono indurre disturbi psichici, sintomi fisici, generale riduzione delle relazioni sociali. I dati affermano che, in media, ogni giorno il caregiver dedica al malato di Alzheimer 4,4 ore di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza. Il 40% dei caregiver, pur essendo in età lavorativa, non lavora e, in dieci anni, tra loro è triplicata la percentuale di disoccupati (Censis e AIMA, 2016).
Per questo diventa strategico intervenire con azioni di supporto dall’esterno, come terapia familiare, gruppi psicoeducativi, gruppi di autoaiuto: migliorano la qualità di vita dei caregiver e la capacità di gestire l’assistito riducendo anche la necessità di istituzionalizzazione dei pazienti.
Anche alla luce di questi elementi è importante riuscire ad affidarsi a uno sguardo professionale, in grado di cogliere il bisogno e guidare l’intervento. Uscire dall’isolamento è il primo passo nella predisposizione di un ambiente terapeutico adeguato in cui la triade anziano – famiglia – operatore può relazionarsi in modo efficace. In questo spazio il benessere di ciascuna componente dipende da quello delle altre.
L’ambiente terapeutico: alcuni suggerimenti pratici per i caregiver a partire dall’esperienza dei nostri operatori a domicilio
Alcune indicazioni possono poi essere di aiuto nello svolgimento delle pratiche quotidiane. Ecco alcuni suggerimenti da parte degli operatori dei nostri servizi assistenziali a domicilio: «L’ambiente in cui l’anziano vive influisce moltissimo sia sulla sua capacità di autonomia sia sul rallentamento del decorso patologico. È fondamentale offrire un ambiente “su misura”, ad esempio per favorire e consentire le pratiche igieniche quotidiane in un ambiente sicuro. Alcuni accorgimenti riguardano l’installazione di maniglioni per la mobilizzazione, l’utilizzo di seggiolini girevoli per la vasca da bagno, o docce prive di pareti di vetro. Con l’avanzare della malattia spesso la propria immagine non viene riconosciuta, e per questo si consiglia di eliminare specchi, per evitare di scatenare reazioni di paura, ansia, e in certi casi aggressività. È opportuno riporre gli strumenti per l’igiene (forbicine, oggetti appuntiti, apparecchiature elettriche come rasoi), in un unico luogo sicuro».
«Anche le attività che possono essere svolte nel corso della giornata rappresentano momenti di cura. Alcune sono facilmente implementabili anche presso la propria abitazione: leggere, sfogliare riviste colorate o colorare album disegnati, fare passeggiate in luoghi tranquilli o luoghi abituali. Il contatto, poi, è una dimensione importantissima, avviene con il semplice prendere per mano, ma anche attraverso il tono di voce, che deve essere calmo, mentre le parole devono essere ben scandite.
È ormai assodato che anche l’ascolto di musica, con alcuni criteri, favorisce l’elaborazione di vissuti, stimola i processi emozionali e le capacità cognitive. Inoltre la musicoterapia è uno strumento idoneo al trattamento di alcuni disturbi comportamentali, come il wandering, il vagabondaggio tipico di chi è affetto da demenza. Altri accorgimenti per evitare episodi di fuga possono consistere nell’occultamento delle porte con aperture verso l’esterno: ad esempio dipingendole dello stesso colore delle pareti, o applicando della carta da parati che riproponga sezioni dell’ambiente domestico (una poltrona, un angolo floreale, una libreria, etc)».
Le alternative alle strutture residenziali: quali servizi sul territorio e come accedere
«E poi non bisogna dimenticare che sul territorio esistono dei servizi dedicati che non sono necessariamente di carattere residenziale. Uno di questi è il SAD (Servizio di Assistenza Domiciliare), che è quello che operiamo noi negli ambiti di Romano di Lombardia e Treviglio. Il Servizio Assistenza Domiciliare mira a favorire la permanenza dell’assistito nel proprio ambiente, evitando lo sradicamento dal contesto socio-relazionale di appartenenza e incoraggiando al maggior grado di autonomia possibile della persona fragile migliorandone la qualità della vita. Tra le funzioni del servizio anche quella di prevenzione rispetto a situazioni di rischio di emarginazione sociale per persone che vivono in condizioni psico-fisiche e sociali precarie. Il servizio di assistenza domiciliare deve essere richiesto dal cittadino interessato e/o dai suoi familiari al Servizio Sociale del Comune di residenza (maggiori info a questa pagina dedicata).
Sono sempre più diffuse anche le realtà degli Alzheimer Café: luoghi di incontro per i malati e per i loro familiari dove è possibile ritrovare momenti di relazione, confrontarsi, interagire, condividere esperienze. Sono spazi di confronto importanti anche per i familiari che giustamente hanno tante domande sulla malattia e su come poterla affrontare al meglio. Qui è possibile trovare molte risposte dalle esperienze di chi vive situazioni simili. L’accesso è gratuito.
I CDI (Centri Diurni Integrati) sono invece ambienti protetti che per alcune ore al giorno accolgono anziani con una parziale compromissione dell’autosufficienza. Per l’accesso a queste strutture è solitamente richiesto il pagamento di una retta giornaliera.
Infine il servizio di RSA Aperta di Regione Lombardia è a disposizione di chi è in possesso di una certificazione di demenza rilasciata da un medico specialista geriatra o neurologo di strutture accreditate. Accedendo a questa misura è possibile usufruire di servizi sanitari e sociosanitari utili a sostenere la permanenza al domicilio della persona il più a lungo possibile, e rinviare così nel tempo la necessità di un ricovero in una struttura residenziale».
Hai bisogno di aiuto? Noi ci siamo!
Con questo articolo speriamo di essere riusciti a dare qualche elemento in più per orientarsi nel complesso mondo della demenza e dell’assistenza a chi soffre di questa patologia. In ogni caso i nostri operatori sono a disposizione per approfondimenti e informazioni sull’accesso ai servizi.
Ci trovate presso l’ufficio di Via Balilla, 13 a Romano di Lombardia, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17 oppure potete contattarci:
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