10 Mag Siamo nati giocatori o lo siamo diventati?
La storia del gioco d’azzardo
Un po’ di storia del gioco d’azzardo, dalle origini della specie ai giorni nostri
Sic, ne perdiderit,
Non cessat perdere lusor.
Così il giocatore perdente, per non restare in perdita,
continua a perdere(Ovidio, Ars Amatoria)
Con queste parole il poeta latino Ovidio svela una semplice verità che si cela dietro al gioco d’azzardo: all’uomo non piace perdere. Così, per risollevarsi dalla sconfitta, il giocatore si arrischia a tentare la fortuna di nuovo, con la grande probabilità di uscirne nuovamente perdente.
Oggi, a distanza di secoli da quando l’Ars Amatoria ha visto la luce, la dinamica non è cambiata. Come afferma il professor Garbolino, la volontà delle persone di pagare “una tassa occulta una tantum al Ministero delle Finanze” per acquistare un biglietto della lotteria trova ancora le sue ragioni. Da un punto di vista economico, il prezzo del biglietto è molto basso rispetto alla nostra capacità di spesa, mentre il premio potenziale può essere decisamente più alto del costo del gioco stesso. Così chi tenta la fortuna è psicologicamente rassicurato dalla probabilità, seppur remota, di vincere una somma di denaro rilevante ad un gioco che, a conti fatti, non ha richiesto un impegno economico troppo al di sopra delle proprie capacità.
Un gioco vecchio come il mondo
I giochi d’azzardo sono dunque profondamente radicati nella storia del genere umano e risalire alle loro origini è un’impresa pressoché impossibile. Come vi anticipavo nello scorso articolo, la stessa selezione naturale sembra aver premiato gli individui che, trovandosi a dover prendere decisioni in condizioni di incertezza, si sono mostrati più in grado di giocare e vincere. Nella lotta per la sopravvivenza hanno così avuto la meglio gli uomini che erano in grado di mostrare maggiore propensione al rischio e all’impulsività, del tutto assimilabile a quella manifestata nel gioco d’azzardo.
Si può dunque dire che la formula dell’azzardo sia vecchia quasi come il mondo: le prime testimonianze di giochi d’alea risalgono al 3000-4000 a.C.; presso gli Egizi era pratica comune giocare con i dadi, mentre in Cina si scommetteva anche alle corse dei carri. Più tardi, nella società ellenica, l’elemento ludico era tanto radicato nella vita quotidiana che Omero nell’Iliade racconta come i soldati avessero affidato il loro destino al caso, lasciando che fosse la sorte a scegliere colui che avrebbe sfidato Ettore a duello. In quanto a gioco d’azzardo il Nuovo Continente non faceva certo eccezione: le popolazioni indigene americane, infatti, giocavano ai dadi, alle pagliuzze e ai bastoncini. L’esploratore Jacques Cartier, tra i primi a giungere in Canada, riporta poi una particolare abitudine tutta femminile: le donne in età da marito erano infatti solite riunirsi in lunghe sessioni di gioco d’azzardo durante le quali rischiavano di perdere tutto ciò che possedevano (Ladouceur et al. 2008).
Ma quali sono le origini di queste diffuse pratiche di gioco?
Panem et circenses
L’abitudine del gioco è spesso stata ricondotta alle attività divinatorie che si sono protratte nel corso dei secoli, tramandate nella loro sacralità di generazione in generazione. Così si spiega, ad esempio, perché per alcuni popoli balinesi gli scontri tra galli da combattimento sono consentiti, seppur con eccezioni, all’interno dei templi, sotto la supervisione delle classi nobili e più abbienti. Anche i Romani erano soliti organizzare, nel contesto delle festività religiose celebrate in onore del dio Saturno (chiamate Saturnalia), delle vere e proprie lotterie; era una vita a panem et circenses, pane e divertimento, quella nell’Antica Roma e, nonostante si sia abituati a pensare che solo il popolo, la plebe, fosse avvezzo all’azzardo, la storia ci descrive i grandi nomi dell’età imperiale, Nerone, Caligola e Claudio, come accaniti giocatori d’azzardo.
Giocare con classe
Oggi pensare al gioco d’azzardo come ad un elemento fondante dell’esistenza quotidiana fa quasi storcere il naso. Eppure nella tradizione greco-romana, dalla quale deriva la cultura occidentale come la conosciamo, l’otium era essenziale per la vita umana. La nostra immagine demonizzata della ludicità, dello svago, è una sopravvivenza della forte repressione che le attività del tempo libero hanno subito durante l’Alto Medioevo. Tale situazione durò fino all’avvento della società dei Comuni intorno all’XI secolo, quando il gioco venne riabilitato e praticato soprattutto nelle corti dei nobili e dei regnanti. Era infatti credenza diffusa che solo i ceti più elevati ed educati alla gestione del potere fossero in grado di controllare i loro impulsi a sufficienza da poter praticare attività rischiose come l’azzardo.
Una prima apertura a favore della pratica del gioco di fortuna può essere inoltre attribuita ad Alfonso X, re di Castiglia, che nel 1283 fece pubblicare una serie di opere sulle discipline più importanti per l’epoca, una delle quali interamente dedicata al ludus.
Con l’Alto Medioevo finì anche la ferma condanna alle attività ludiche e accanto al gioco dei dadi trovarono posto anche le carte, le lotterie, le scommesse e il lotto. Così nel 1536 i sudditi del regno d’Inghilterra poterono scommettere sulla volontà del re Enrico VIII Tudor di cambiare moglie a seguito del processo ad Anna Bolena, sua seconda coniuge. Pochi anni dopo venne regolamentato a Genova il gioco del Lotto mentre fu il filosofo e matematico francese Blaise Pascal a dar vita alla prima roulette, da allora simbolo di ricchezza ed esclusività, circondata dall’atmosfera affascinante dei saloni dei casinò. Anche gli americani apportarono il loro contributo al mondo del gioco d’azzardo, quando nel 1895 Charles Fay ideò la slot machine con ruote girevoli raffiguranti ori, picche e cuori.
Giochi di potere
Il business del gioco d’azzardo, per riprendere l’affermazione del professor Garbolino citata all’inizio, è attualmente prerogativa dello Stato.
Ma come veniva regolamentato in precedenza?
L’attività ludica ha sempre suscitato l’interesse dei depositari del potere, che nel corso dei secoli hanno voluto designare se stessi come responsabili diretti dei giochi d’alea. In diverse parti d’Europa l’azzardo, al pari di un vero e proprio esercizio economico, iniziò ad essere fonte di guadagno per lo Stato e per la Chiesa, sebbene in passato l’autorità ecclesiastica si fosse espressa contro le pratiche di gioco rischiose. Non solo: nobili e clerici ne divennero i primi beneficiari, avendo intuito quanto gli introiti derivati dall’alea avrebbero potuto far fruttare denaro da impiegare in opere pubbliche e religiose. Così la regina Elisabetta I Tudor fece costruire ponti ed acquedotti e il re Carlo II poté finanziare le spedizioni verso il Nuovo Continente. Nel Regno di Napoli, a seguito delle fallimentari Prammatiche, le sanzioni contro l’azzardo, venne stabilito l’affitto dei giochi di fortuna, che venivano quindi concessi in appalto ad un privato perché li amministrasse in nome dello Stato e ne traesse profitto per un certo numero di anni. Anche la Fontana di Trevi, come buona parte delle opere di bonifica della paludi pontine, fu sovvenzionata grazie alle lotterie autorizzate dallo Stato Pontificio nel 1731. Con l’unificazione del Regno d’Italia, infine, il monopolio del lotto e delle lotterie passò nelle mani del neonato Governo.