24 Apr Le comunità terapautiche: come nascono e come si sono evolute
Come nascono le comunità terapeutiche
Le comunità terapeutiche nascono come intervento spontaneo di persone che, con libera iniziativa, decidono di vivere assieme per superare un problema comune: una dipendenza.
Le prime comunità per tossicodipendenti nacquero in America alla fine degli anni ’50, come risposta alla diffusione dell’uso di oppiacei e all’entità sociale di tale fenomeno.
Il fulcro dell’intervento nelle prime comunità era centrato sul modello della vita di gruppo e sui processi di auto-aiuto con lo scopo di agire nella direzione del cambiamento degli stili di vita. Tale cambiamento, in situazione di tossicodipendenza, poteva derivare dalla condivisione, dal confronto e dal rinforzo reciproco. Quando le persone affrontano lo stesso problema, unendosi, interagiscono in base a semplici regole relazionali, finalizzate all’acquisizione di una nuova disciplina comportamentale.
Le comunità in Italia
In Italia, negli anni ’60, i padri fondatori delle Comunità Terapeutiche furono figure storiche del volontariato e del mondo religioso, pionieri che si fecero carico fin dagli esordi del problema del disagio e dell’emarginazione sociale formando gruppi di aiuto e case alloggio per l’accoglienza e l’assistenza dei giovani in difficoltà.
Come in molti altri paesi europei, agli inizi degli anni ’70 ci furono le prime esperienze di comunità per tossicodipendenti, per lo più grazie all’iniziativa di enti religiosi e organizzazioni di volontariato.
L’intervento delle istituzioni
Si deve arrivare agli anni ’80, più precisamente tra gli anni ’80 e ’90 per trovare le prime risposte istituzionali al problema della tossicodipendenza, con la creazione dei Ser.T.; il panorama si complessificò, per la presenza di interventi diversificati ambulatoriali e residenziali, pubblici e privati.
Le comunità oggi: cosa sono
Ad oggi le comunità terapeutiche sono normativamente servizi terapeutici riabilitativi a carattere residenziale e/o semiresidenziale e si collocano nella rete dei servizi socio sanitari per l’attuazione di programmi terapeutici personalizzati di persone con problematiche di dipendenza da sostanze illecite e lecite.
Concretamente, la comunità terapeutica è un percorso esperienziale di apprendimento in gruppo declinato in varie forme di intervento da adattare alle esigenze degli utilizzatori.
Lo scopo è quello della crescita individuale intesa come processo sociale, il compito è quello di permettere ad un individuo di raggiungere il proprio potenziale. Il metodo è quello di vivere imparando dall’esperienza: le persone sono attive rispetto al cambiamento e tutte le attività sono finalizzate al cambiamento stesso. È la comunità stessa che “cura” in quanto in essa la persona viene accettata nonostante le sue colpe, i suoi difetti e nonostante l’esclusione sociale; la comunità fornisce norme e organizzazione, funzioni che erano carenti nell’ambito di provenienza.
L’importanza della relazione
Lo strumento principale del cambiamento è la relazione. Lo stretto rapporto che si stabilisce fra gli operatori e le persone in cura, che partecipano al lavoro e alle attività della comunità e contribuiscono alle decisioni che le riguardano, è un elemento essenziale. La relazione è la valorizzazione di diverse figure che si integrano in un processo che è sintesi di identità e alterità. La presenza di modelli d’identificazione alternativi a quelli, spesso scarsi e patologici, con i quali la persona si era confrontata prima, diventa fondamentale. Anche le relazioni umane significative che si instaurano con operatori e gli “altri” assumono un valore importante: aprono alla persona nuovi modi di essere. In questo contesto l’operatore facilita, a livello relazionale, esperienze emozionali correttive.
L’intervento comunitario prevede un lungo lavoro di consolidamento dei cambiamenti comportamentali, attitudinali e affettivi avvenuti, con la fatica di gestire anche eventuali regressioni.
Formazione e preparazione degli operatori
Le comunità sono partite dai volontari e da ex-utenti, nel tempo si sono poi arricchite di figure professionali preparate. La professionalità infatti appare sempre più importante, in ragione della pluralizzazione delle utenze e dei trattamenti, così come la stretta connessione con la rete dei servizi, al cui interno le relazioni trasversali sono favorite anche dalla comune matrice professionale.
In questo percorso di crescita delle comunità è necessario rafforzare sia il sistema di formazione professionale che la valorizzazione agli apprendimenti informali basati sullo sviluppo e scambio di buone prassi in modo che le competenze professionali e le pratiche siano costantemente aggiornate.
La continuità valoriale, metodologica e relazionale, è un fattore fondamentale per dare unitarietà e continuità di intervento a tutto il percorso di allontanamento e “libertà” dalla dipendenza di sostanze stupefacenti e/o alcool.
E’ necessario un modello integrato circolare complesso che preveda la presenza di diverse figure professionali che, con pari dignità, interagiscono nell’équipe integrandosi tra loro e facendo rete con il servizio pubblico territoriale, al fine di mettere in campo interventi coerenti ed efficaci.